L’uomo, divoratore della Madre Terra

La specie umana rappresenta appena lo 0,5% della biomassa terrestre, Tuttavia si calcola che consumi circa il 31% della produzione primaria netta della terra. L’ energia solare viene convertita in materia organica dai vegetali attraverso la fotosintesi e i processi conseguenti, e quasi un terzo del totale viene già oggi consumato dagli umani ( Nature 429, 2004, “Global patterns in human consumption of net primary production”).

Ciò dovrebbe bastare a chiarire ulteriormente che non solo i modelli economici di crescita sono un non sense strutturale (poiché un ambiente finito, come è il nostro pianeta, è ovviamente incompatibile con qualunque crescita senza limiti), ma anche che siamo già da tempo in una situazione complessivamente insostenibile per l’equilibrio degli ecosistemi, poiché le altre specie, cioè il rimanente 99,5% della biomassa, devono accontentarsi di ripartirsi il 69% della produzione organica, mentre noi ne consumiamo oltre 60 volte più del dovuto.

Ma le proiezioni per il prossimo futuro dicono che entro il 2050 la popolazione umana avrà superato i 9 mld di individui, con un aumento del 28% rispetto agli attuali 7 mld, il che, mantenendo gli standard di consumi prodotti sinora condurrebbe al consumo di produzione primaria addirittura del 40%, il che significa che alle altre specie rimarrebbe meno della metà di quanto competerebbe loro. E col passare del tempo la situazione peggiorerebbe ancora.
Consumiamo troppo, il che è corollario del fatto che produciamo troppo, e invece di pensare a “salvare il pil” (cioè salvare il portafogli di pochi grandi investitori ed azionisti industriali) faremmo meglio a pensare come mettere in salvo l’unico pianeta che abbiamo a disposizione per vivere, al quale in passato James Lovelock diede il nome “Gaia”, per far capire che esso è, a suo modo, un superorganismo vivente.

E’ evidente che l’umanità dovrebbe razionalizzare enormemente le proprie abitudini di prelievo delle risorse biologiche del pianeta, a meno che non pensiamo ad un futuro in cui varie specie presenti sulla Terra possano estinguersi senza che ciò costituisca un danno, mentre è ovvio che tutte svolgono il loro ruolo all’interno dei numerosi cicli di trasformazioni che consentono il mantenimento degli equilibri complessivamente necessari al perpetuarsi della vita, perlomeno così come la conosciamo.

Di fronte a questo genere di problemi, poco conosciuti, ma non per questo meno reali, sarebbe utile una unità di azione cooperativa tra le varie nazioni e i loro governi, invece di sprecare energie e risorse in guerre petrolifere e puerili scontri insensati di occidente contro oriente. Il pianeta che abitiamo è un oggetto reale, complesso e vivo, che non si può assimilare ai giochi di Monopoli o Risiko.
Non sembra che politica e informazione se ne rendano ben conto, finora, tuttavia, anche se non ci si pensa, il continuare a segare il ramo su cui si sta seduti provoca un grande capitombolo, a fine operazione. Il che assomiglia abbastanza alla situazione che ci troviamo a vivere, e che bisognerà modificare.

Eppure, secondo l’Onu, una agricoltura ecosostenibile razionalmente applicata su tutto il pianeta sarebbe in grado di sfamare senza danni una popolazione di 11 mld di esseri umani. Una umanità che si riorganizzasse cercando i privilegiare i bisogni primari e la qualità della vita inserita in un contesto di equilibrio con l’ambiente, invece di essere succube all’ansia per il profitto e per la valorizzazione del capitale, godrebbe certamente di condizioni di esistenza complessivamente migliori.

Vale a dire: starebbe meglio.

Vincenzo Zamboni

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