…le religioni hanno poco a che fare con il ritorno a ciò che si è…

Recentemente mi sono pervenute varie critiche per il mio atteggiamento ostico nei confronti delle religioni,  soprattutto verso il  giudaismo cristianesimo islamismo. Mi dicono: “Perché sei così giudicativo? Dio è presente in ogni religione”…

Certo, la “logica monoteista” sembrerebbe inoppugnabile ma è l’assunzione stessa di un “dio” che contesto. Un dio separato dalla sua stessa creazione e  che assume aspetti e impone dettami diversi a seconda delle convenienze dei propugnatori delle varie religioni.
Ma il mio non vuole essere propriamente  un giudizio  bensì il risultato di  un discernere.La “Coscienza” non è ciò che appare nella coscienza, non è -per intenderci- sensazione, pensiero, emozione, intuizione, visione ma è quella luce che rende possibile ogni  percepire.  Ed infatti  neanche questa spiegazione fatta di parole  può qualificare o indicare la Coscienza. Questo mio è un futile tentativo di definire l’indefinibile… ogni definizione della “Coscienza” è contenuto e mai può essere contenitore.Come vedete non possiamo seguire un tracciato  solido ma  possiamo almeno stabilire ciò che “non” è Coscienza, neghiamo ogni costrutto, assioma,  assunzione, pretesa di  descrivere ed incarnare la Coscienza. Ed è proprio in questi termini che si configura la mia opposizione nei confronti delle religioni ed ideologie.

La “religione” in se stessa, come forma-pensiero, non sarebbe colpevole ma lo sono tutti i sacerdoti, papi e cardinali, rabbini, mullah…  che hanno utilizzato  il moto spontaneo ed innato  del “ritorno” al Sé, lo Spirito, che tutto comprende e compenetra!  Essi hanno compiuto il più grande inganno ed imbroglio, verso se stessi ed il loro prossimo, essi hanno in verità svolto la funzione ingannatrice “dell’invidioso maligno…” Separando ciò che è inseparabile per poi pretendere di volerlo”ri-unire” attraverso un dettame religioso.

Ora fate bene attenzione.  Ogni simile cerca il suo simile, e non v’è alcun obbligo a restare impantanati in un “credo” (il momento che ne hai capito le conseguenze). Solo colui che insiste nel voler credere è compartecipe  di quel credo.  Eppure, non è il credere anch’esso un pensiero? E non dicevamo poco fa che la Coscienza  non può mai essere “rappresentata” da un pensiero, da una immagine? Solo la Coscienza può illuminare la coscienza.

Quindi perché restare avvinghiati ad un qualcosa che è mera illusione, un simbolo  duale del “bene e  male”?  Abbandoniamo, dunque, la vanità e l’arroganza separativa e compiamo senza paura il “ritorno”, nel riconoscersi in ciò che è…

Pur apparentemente continuando nel gioco delle parti.
Paolo D’Arpini

 

3 pensieri su “…le religioni hanno poco a che fare con il ritorno a ciò che si è…

  1. Bello. Bello Paolo.
    Mi resta in sospeso una questione.
    Se la storia che abbiamo esprime la verità di ciò che possiamo, vediamo, pensiamo, immaginiamo, sentiamo, eccetera, l’azione di separazione del dio dalla sua creatura, per quanto inopportuna a riconoscere la Coscienza e la Coscienza di ciò che siamo, non ha tutte le ragioni storiche necessarie affinché non possa essere considerata una scelta, una discriminazione voluta, piuttosto che imposta dal contesto culturale dal quale è emersa? Cerco di spiegarmi.

    Il piano di lettura duale della realtà, ha, a mio parere, motivi storici rispettabili quanto qualunque altra storica espressione (nazismo, inquinamento, bolle finanziarie, fondamentalismo, torture, totalitarismi inclusi). Esso potrebbe avere due filologie apparentemente distinte. Una riguarda l’esigenza di sopravvivenza individuale. Questa, oltre a concepirci separati dal prossimo, tra l’altro, impone di ridurre all’essenziale il linguaggio quando impiegato per la comunicazione spiccia e primaria. Quella della sopravvivenza appunto, da intendere non solo fisica ma identitaria. Quella che adottiamo per non farci sopraffare dall’altro. Privati del problema della sopravvivenza, possiamo invece giungere a riconoscere l’altro come un noi in tempo e forma differente, la nostra natura profonda o ciò che siamo e quindi l’identicità con dio. Cose da pancia piena insomma, o vuota, nel caso ascetico.
    La seconda filologia che proverebbe la legittimità della concezione duale del mondo riguarda l’organizzazione o più semplicemente il mondo materiale, fisico. Qualunque intenzione organizzativo-amministrativa, mi pare non possa prescindere dalla concezione duale. Questa infatti viene a sciogliersi nel sogni, nelle visioni, negli stati cosiddetti alterati, estatici e nella meditazione. tutti terreni dove l’esigenza organizzativa non ha humus per essere.

    Questi due ambiti, sopravvivenza e organizzazione sono, in un certo senso, pilastri della storia. Da loro possono generarsi solo parte delle potenzialità, disponibili invece in altri contesti.
    Non a caso le società più speculative sono le più organizzate. Le più spirituali sono le meno produttive di beni mobili, bisognosi di organizzazione e amministrazione.

    Sopravvivenza e organizzazione hanno accompagnato e accompagnano gli uomini. I sentimenti e i quindi i comportamenti che ne derivano generano la storia e tutte le sue espressioni. In questo senso quindi, le forme espressive riguardanti la metafisica e la morale non ne erano esenti.

    Non si può poi non accennare alla rivoluzione cartesiano-razional-illuminista. Le prospettive che quel periodo ha imposto, da un lato erano legittimate dall’esigenza di liberarsi dai legacci peciosi che avevano generato il medioevo e si erano strascicati in avanti ancora per secoli. Quel periodo, dai lumi fu visto come vuoto dal quale prendere le distanze. Dall’altro, sono state vissute come Il passo avanti partorito dalla cultura dopo inenarrabili doglie. E quale eureka dovranno aver vissuto dopo essersene affrancati, dopo aver dato dignità all’individuo prima solo carne buona per qualunque cucina?
    Dentro quell’eureka la concezione duale del mondo, della verità, della vita, della storia, trovava gli ormeggi che nessuna tempesta sarebbe riuscita a strappare.
    Economia, valore del denaro, guerre, religioni, sono alcune sue gomene.

    In funzione di queste considerazioni certamente opinabili, la separazione di dio dalla sua creatura, troverebbe la sua ragione d’essere.
    Ipotizzando che queste ultime siano attendibili, bisognerebbe scagionare da colpe coloro che non si sono fatti troppe domande e identificandosi con qualcosa di loro gradimento, hanno seguito l’onda del luogo comune, perpetrando così la tradizione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, del vero e del falso, come entità separate.

    Riconoscendo loro (ma quali loro, se sono dei noi in altro tempo e forma?) tutta la dignità che noi chiederemmo per noi stessi, realizziamo una propaganda dell’Uno forse più idonea per essere da loro riconosciuta, più capace quindi di aggiornare le loro prospettive, più opportuna per condurli a riconoscere dio in loro stessi.

    Ma non è tutto. Noi stessi non adottiamo la prospettiva duale tutte le volte che la riteniamo, anche inconsapevolmente, necessaria ad amministrare il caso in corso? Sembra banale chiederselo, ma lascia spazio alla questione della pari dignità di ciò che la storia esprime: solo credendo, anche inconsapevolmente, nel Due, possiamo ritenere qualcuno nell’errore, possiamo credere che dio stia in noi e non altrimenti.

  2. Caro Lorenzo, il dualismo ha la sua funzione nel funzionamento empirico. Nessuno lo nega. Possiamo osservare il suo dispiegarsi negli eventi senza restarne soggiogati. “Fare/non fare” dicevano i taoisti. Ovvero agire, rispondendo agli stimoli, senza considerare il meglio od il peggio. Una volta che la risposta è stata data inutile tornare indietro e se ci sembra di tornare indietro è solo perché le situazioni si ripetono per un loro proprio movimento. Come avviene nel posizionamento sincronico degli eventi in cui le possibilità sono infinite. La storia segue una traccia come se fosse un reale percorso. In verità è soltanto la descrizione di una ipotesi, di una possibilità. Perché preoccuparsene?

  3. Commento ricevuto via email da Giorgio Vitali:

    QUEST’INDIZIO m’induce ad indugiare…..
    Di fronte ai problemi da te posti attraverso le considerazioni sul rapporto UNO-DUE, occorre mettersi nella condizione dell’EPISTEMOLOGO.
    L’Epistemologia, infatti, NON si chiede se una certa legge della fisica sia vera o non vera. Si chiede da quali presupposti filosofici, culturali, ideologici e psicologici NASCE QUEL PROCESSO IDEATIVO E DI RICERCA CHE HA PORTATO ALLA CONFERMA DI UNA CERTA TESI ( sempre e comunque PRECEDENTE alla sperimentazione scientifica. L’analisi che siamo indotti a fare SEMPRE su queste argomentazioni ci pone inesorabilmente in una posizione DUALE: Noi ( intesi nell’interezza dei nostri INTERESSI,e nella nostra totalità psicofisiologica) e l’oggetto del nostro pensare. Siamo su una posizione duale ma che duale NON è nella misura in cui affrontiamo il pensiero nel suo ORIGINARSI. ( Considerazione che la LOGICA non fa mai.) da questo punto di vista possiamo affermare con sicurezza che il PENSIERO CONTEMPORANEO è andato più in là di quanto non si riesca a immaginare. Mi riferisco, ad esempio, all’idea di MEME. ( genetica e virologia di idde, credenze, mode). All’idea ( nata da ambienti scientifici ed epistemologici, di SINCRONICITA’ ( il legame tra fisica e psiche espresso da Pauli, Jung, Chopra e dal nostro Vittorio Marchi), D’altra parte un noto filosofo storico come Giorgio Colli, ( La nascita della filosofia), ci documenta COME la filosofia, che per noi è una pura espressione del pensiero, in realtà consista nella forme letteraria introdotta inizialmente da Platone. E lo stesso Nietzche, all’origine della grande rivoluzione del pensiero che ci coinvolge tutti nolenti o volenti, in una delle sue opere più importanti: LA NASCITA DELLA TRAGEDIA…( scrive G.Colli)….
    perché ho citato questo passo? Semplicemente per un approccio epistemologico all’origine di certi concetti. Si sa, infatti, che per sapienza si intende una MODALITA’ del PENSARE e del PERCEPIRE che presuppone una VISIONE UNITARIA dell’UNIVERSO. Tale unitarietà peraltro, NON significa che il singolo, l’individuo, anche la particella debba percepirsi come un NULLA trascinato nel FIUME di un ipotetico ed ASTRATTO DIVENIRE. Si tratta sempre di una visione del MONDO che PRESCINDE dalla esistenza o meno ALL’ESTERNO DELL’ESSERE PENSANTE.
    In futuro invierò alcune considerazioni relative alla continuità di pensiero da Giordano Bruno a G.C. Vanini, che mi frulla da tempo nel cervello. In questi due formidabili pensatori NOI troviamo la SINTESI perfetta di una visione UNITARIA dell’Universo che proviene in via diretta dall’esperienza ESISTENZIALE del Rinascimanto Italiano.
    Luca Olivieri ( GRAAL, settembre 1986) scrive in relazione al DEL PENSARE IN GIORDANO BRUNO…
    Ecco dimostrato come sia possibile il superamento della dualità in un pensiero NON astratto e tantomeno scevro da suggestioni letterarie, filosofiche e religiose ( di “filosofia della religione ufficiale” espressa nella dottrina della Chiesa). La mia conclusione è semplice: il dualismo è superato da una visione unitaria dell’Universo, che però NON annulla la separazione fra osservante ed osservato, fra senziente e sentito. In questo superamento è il significato della contemporaneità vissuta ma anche STORICA.
    E CONCLUDIAMO CITANDO GOETHE CHE PIU’ RECENTEMENTE H seguito gli stessi principi creatori di PENSIERO VIVENTE: Scrive ASCHEO ( La concezione goethiana del mondo, GRAAL, gennaio 1983):

    Spero di aver spiegato il concetto, attraverso l’esempio di cercatori dell’UNO che NON hanno mai rinunciato al duale. Il DUE è nell’UNO e questo NON sarebbe tale senza la intrinseca capacità di SINTESI. G.V.

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