“Excursus sulla presenza di fedi e di santi a Treia”. Introduzione del prof Alberto Meriggi alla Tavola rotonda su “Religione e Spiritualità laica” che si tiene a Treia il 27 aprile 2019, nell’ambito della Festa dei Precursori

Festa Dei Precursori - Treia

Introduzione del prof Alberto Meriggi alla Tavola rotonda su “Religione e Spiritualità laica” che si tiene a Treia il 27 aprile 2019, nell’ambito della Festa dei Precursori

Sono presente a questo appuntamento ormai da diversi anni e ogni volta ho iniziato il mio intervento sottolineando che la mia presenza è legata soprattutto all’amicizia con Paolo D’Arpini e Caterina Regazzi e non certo alla mia competenza sull’argomento che viene trattato, competenza che non c’è neanche in questa occasione in cui si affronta il tema “Religione e spiritualità laica”. Paolo però mi chiama sempre perché – dice lui – essendo io un treiese che di mestiere ha fatto lo storico e ha scritto molto anche sulla storia di Treia, posso fornire qualche aggancio, relativamente al tema in discussione, alla storia di Treia e del territorio circostante. Così ogni anno, in questo modo, proviamo a fornire agli ospiti qualche informazione sulla nostra città e la nostra terra.

Non mi soffermo affatto sui concetti di religione e spiritualità mi limito semplicemente a sottolineare che anche qui a Treia, nel tempo, ci sono stati personaggi che hanno segnato la propria vita con manifestazioni particolari di omaggio, di venerazione e adorazione nei confronti del sacro o del divino. Persone che hanno voluto staccare la propria vita dalla materialità per cercare altrove l’essenza del proprio essere. Ma vi sono stati, e ci sono ancora, anche luoghi che rimandano alla più autentica spiritualità, perché luoghi non solo di culto e di preghiera, ma anche di meditazione e riflessione: eremi, monasteri, conventi, abbazie, ecc.

Dunque anche qui un panorama vastissimo riguardante la religione e la spiritualità, una vastità che, però, per poterne parlare in poco tempo consiglia una scelta, una selezione necessaria per affrontare il tema in questa occasione in cui lo si può fare solo a grandi linee.

In accordo con Paolo si è deciso di escludere i luoghi della spiritualità e di presentare, invece, alcuni dei personaggi più significativi che a Treia, nella loro vita, hanno preferito desiderare la ricchezza spirituale piuttosto che quella materiale. Nonostante il mio tentativo di sintetizzare al massimo, l’abbondanza di riferimenti relativi a Treia mi costringe a chiedervi qualche minuto in più di pazienza per ascoltarmi e, per non divagare, mi aiuterò con la lettura degli appunti che ho preparato.

Comincerei col dire che certamente qui a Treia la religione e la spiritualità sono state vissute dai più secondo le modalità del Cristianesimo, da questo non possiamo sfuggire. Ma non è stato sempre così e prima di dirvi il perché mi piace segnalarvi una particolarità, una rarità che non tutte le località alla pari di Treia possono vantare. Nel nostro territorio comunale, ad appena due chilometri da qui, esiste un luogo in cui gli uomini e le donne, alzando gli occhi al cielo, da più di duemila anni, hanno pregato un loro Dio, lì, proprio lì, sempre nello stesso spazio, sotto quello stesso cielo. E’ lo spazio dove oggi si trova la chiesa del SS. Crocifisso, nell’area dove era ubicata la città romana di Trea. Dagli scavi archeologici che dal Settecento in poi sono stati effettuati nel sito sono emersi, oltre a moltissimi reperti romani, anche alcuni reperti egizi tra cui una bellissima testa in marmo raffigurante il dio egizio Serapide, una statua femminile e una maschile raffiguranti Iside e forse Osiride e altri frammenti. Questi reperti oggi si trovano nel nostro museo archeologico, mentre incastonate nel campanile del SS. Crocifisso ci sono delle copie. Questo cosa dimostra? Secondo gli studiosi, e non vi sto qui a spiegare, nel luogo dove oggi c’è il Santuario del SS. Crocifisso, in età adrianea, cioè agli inizi del secondo secolo dopo Cristo, c’era un serapeo, cioè un tempio dedicato al dio Serapide e ai culti egizi. Anche qui a Treia, dunque, si pregavano divinità egizie e si costruivano statue come oggetti di culto e di venerazione.

Poi vennero i barbari e distrussero la città romana di Trea, compreso il serapeo. Il ritrovamento di reperti risalenti all’Alto Medioevo sembra attestare una certa continuità di culto in quello stesso spazio attraverso la presenza fin dal terzo secolo d.C. di una Pieve cristiana che da altri documenti sembra essere stato il primo luogo di culto del Cristianesimo nel territorio di Treia. Poi, nello stesso spazio, dalla piccola Pieve si è passati a chiese vere e proprie, rivolte non verso Treia, ma verso i monti, o meglio verso Roma, verso il cuore della cristianità, ricalcando le posizioni degli edifici antichi. Finalmente, nel Quattrocento, con l’avvento dei francescani fu costruita una chiesa rivolta verso Treia, dedicata al SS. Crocifisso, nei secoli più volte rinnovata, fino al 1902, anno dell’incendio del Santuario, che poi nel giro di vent’anni fu ricostruito, così come lo vediamo oggi, su progetto del grande architetto Cesare Bazzani. Questi passaggi sono stati studiati e descritti in varie pubblicazioni. E dunque in quello spazio si prega un Dio da più di 2000 anni ed è ancora così.

Dopo questa curiosità e peculiarità tutta treiese ora, come vi ho accennato all’inizio, mi soffermerò, sintetizzando, sulla vita e le opere di alcune figure di Treia che hanno intriso la loro esistenza soprattutto di spiritualità.

Comincerei da un francescano, il beato Pietro Marchionni, meglio noto come Pietro da Treia, Io anni fa ho scritto qualcosa su di lui e organizzai anche un convegno negli anni Ottanta quando presiedevo un Centro Culturale qui a Treia. Di famiglia nobile residente nella zona di Passo di Treia, Pietro è stato uno dei primi seguaci di S. Francesco nelle Marche. Non si conosce con precisione la sua data di nascita ma si pensa che sia nato tra il 1225 e il 1230 e nei Fioretti è ricordato insieme all’amico e confratello Corrado da Offida. Abbracciò la regola dei Minori francescani e a Treia fondò la prima famiglia francescana nei pressi di Porta Vallesacco dove c’era una vecchia chiesetta dedicata a Santa Margherita, nel cui cortile edificò un piccolo convento. Abitò nei conventi di Forano di Appignano, in quello di Valcerasa di Treia e ad Ancona e chiuse la sua esistenza terrena nel 1304 nel convento francescano di Sirolo, località in cui ancora riposano le sue spoglie. Papa Pio VI, quello del busto nella nostra piazza, chiuse il lungo processo di beatificazione nel 1793.

Il beato Pietro fu uno di quei seguaci di S. Francesco cosiddetti spirituali, cioè coloro che aspiravano ad osservare la pura regola dettata dal Santo di Assisi, e forse aderì al gruppo dei seguaci di papa Celestino V, anche se non è certo che facesse parte della Congregazione Celestina.

A parte le tante testimonianze di prodigi e miracoli a lui attribuiti, le sue attività principali furono la preghiera continua, la meditazione e la predicazione. Si fece un nome e acquisì fama nelle Marche soprattutto come predicatore, un impegno che lo vide muoversi per tutte le località della regione soprattutto nel tentativo di mettere pace tra le varie fazioni politiche che si fronteggiavano anche in modo cruento, non dimentichiamo che nel suo periodo anche qui eravamo in piena lotta tra Guelfi e Ghibellini. Conosciuto e stimato come abile portatore di parole di pace, veniva appositamente chiamato per sedare discordie di ogni tipo e tra il 1265 e il 1290 si adoperò con successo per favorire tregue tra Treia e alcune località sue avversarie.

Amava molto ritirarsi in preghiera e per meditare presso la selva di Valcerasa, vicino Passo di Treia, dove ancora una targa ricorda la sua presenza. Uno dei grandi cronisti del Francescanesimo, Bartolomeo da Pisa, lo definì “fama sanctitatis et praedicatione eccellens”, uomo con fama di santità e predicatore eccellente.

Con la sua vita tutta spirituale e con il suo comportamento attirò qui a Treia molti giovani verso la vita francescana e questo portò, nel 1306, quindi poco dopo la sua morte, popolazione e autorità a costruire la chiesa di S. Francesco, con annesso un nuovo convento. Su di lui e sulla sua vita tutta dedita alla spiritualità ci sarebbero tantissime altre cose da raccontare.

Col beato Pietro eravamo nel primo Trecento, e saltando molti secoli e qualche altra figura interessante, vi porto molto più vicino a noi, nel Settecento, per farvi conoscere un’altra bella figura di spirituale di Treia. Si tratta di una giovane donna, di nome Giovanna Battista Grimaldi che per la sua vita tutta dedita alla spiritualità ebbe il titolo di Serva di Dio. Il cognome Grimaldi qui a Treia rimanda a grandi figure come quella del cardinale Nicola Grimaldi e a importanti luoghi come Villa Valcerasa, sorta proprio dove il beato Pietro faceva eremitaggio, sempre ad opera della famiglia Grimaldi, nonché al Palazzo Grimaldi sito lungo il corso principale, nei pressi della cattedrale.

Giovanna Battista nacque a Treia nel 1749 da Francesco Nicola Grimaldi e da Vincenza Broglio d’Ajano, due famiglie nobili e possidenti del luogo. I suoi genitori, a differenza di tante altre famiglie ricche di Treia, si distinsero durante tutta la vita per generosità e solidarietà nei confronti delle famiglie più disagiate di Treia e del territorio circostante. Un documento attesta che in un anno di forte carestia il padre Nicola vuotò i suoi magazzini di grano ed altri viveri per donare tutto ai poveri. La madre Vincenza era detta “la santa” per il suo comportamento di pietà e di carità nei confronti dei bisognosi. Giovanna Battista fu educata con questi principi e, affidata a precettori di grande prestigio e fede, ad essi mostrò subito la sua inclinazione verso le cose dello spirito e il desiderio di far sempre del bene agli altri.

Aveva 20 anni quando morì la madre a cui era legatissima e alla quale, nel letto di morte, rispose affermativamente alla richiesta di prendersi cura delle sorelle e dei fratelli più piccoli, e da quel momento toccò a lei il governo della casa e la guida della servitù. Dal giorno della morte della madre non disdegnò di occuparsi anche delle faccende domestiche più umili, alleviando il lavoro alla servitù che non sempre le era riconoscente e a volte approfittava della sua disponibilità. Ho letto che Giovanna Battista spesso taceva e abbassava il capo di fronte alle ingiurie e alle pretese dei sottoposti. Non solo, a seguito di alcune vicende familiari, dovette occuparsi anche della cura e sostegno di alcuni nipoti.

Nonostante quella vita piena di lavoro e di preoccupazioni il suo più grande impegno restava quotidianamente, quasi come una ossessione, la pietà, la carità e il dover prestare soccorso ai poveri e ai bisognosi del luogo. Ormai si sentiva spinta anche dal fatto che costoro vedevano in lei uno dei pochi punti di riferimento per tentare di alleviare le proprie sofferenze e anche per ascoltare parole di conforto. Se il padre aveva vuotato i magazzini per donare tutto ai poveri, lei quando era necessario non mangiava per poter avere qualcosa da lasciare ai bisognosi.

Pur essendo la padrona di casa, amava adeguarsi volontariamente alla volontà dei suoi padri spirituali per spirito di obbedienza, insomma godeva nell’obbedire e odiava dare ordini, perché era convinta che ciò che le dicevano i suoi padri spirituali che la seguivano e la consigliavano, erano parole che provenivano direttamente da Dio. Era tentata dal maligno dal quale si difendeva pregando e anche mortificando il proprio corpo restando lungo tempo in ginocchio, digiunando per giorni, ecc. Per 35 anni non uscì mai di casa se non per andare in chiesa a comunicarsi e in quelle occasioni la gente, che la chiamava santa, si adunava per vederla e non era difficile riconoscerla perché lei mortificava se stessa anche nel vestire, d’inverno si copriva ancora con gli abiti leggeri per soffrire di più il freddo e d’estate faceva il contrario. Viveva nell’amore per il patire affinché Dio ascoltasse le sue suppliche in favore dei bisognosi. Nel letto di morte volle essere circondata da tutti i parenti per chiedere perdono per le sue mancanze nei loro confronti. Morì all’età di 54 anni. Al funerale partecipò tutta Treia e anche popolazione da fuori. Tutti volevano toccare il suo cadavere e avere un pezzetto del suo abito o qualche capello, come reliquie. Di lei si diffuse subito la fama di santità e si segnalarono, con documentazione, casi di guarigione da morte sicura grazie a preghiere rivolte a lei e tramite lei.

Un altro caso treiese di vita all’insegna della spiritualità riguarda una suora originaria di Mogliano, ma che visse per trent’anni nel monastero delle Benedettine di Treia, dove morì e fu sepolta. Il monastero si trovava dove c’è oggi il parcheggio dell’ospedale, e fu demolito nel 1962.

Mi sono accorto dell’esistenza di questa figura qualche anno fa interessandomi ad un quadro cinquecentesco della Madonna del Latte, meglio noto come quadro della Madonna della Pace, che ormai da settant’anni si trova nella mia chiesa parrocchiale a Chiesanuova, ma che da sempre si trovava in una cappellina laterale nel monastero delle Benedettine di Treia. Cercando notizie sulla storia del quadro al fine di restaurarlo, come poi è avvenuto tre anni fa, ho letto di prodigi ad esso attribuiti nel corso dei secoli. Uno di questi riguardava una suora, presente nel monastero, che un giorno, inginocchiata di fronte al quadro in preghiera, vide materializzarsi la Madonna del quadro nel gesto di offrirle una rosa rossa.

La suora in questione era il personaggio di cui rapidamente vi do qualche notizia. Era suor Angela Maria Latini. Prima di prendere i voti si chiamava Serafina Latini ed era nata a Mogliano nel 1753 da nobile famiglia del luogo. Era la secondogenita di 14 figli e fin da piccola si dovette occupare della casa e dei fratelli. Era seguita, come gli altri fratelli, da un precettore, il suo era un sacerdote che le fece sbocciare un grande fervore religioso tanto da farla cominciare a pensare di prendere i voti. Nella casa di famiglia c’era un quadro con una Madonna con bambino e un giorno Serafina ebbe una visione: Gesù si staccò dall’immagine e come un fulmine le penetrò nel petto, vicino al cuore, dove si aprì realmente una piaga che le rimase per tutta la vita e che risultò inguaribile. Per Serafina quel giorno fu determinante per la decisione di diventare suora e prendere i voti.

Dopo una lunga opposizione dei genitori a 19 anni entrò nel monastero femminile di Treia, dove vi erano già quattro sue zie come monache. Con i voti cambiò il proprio nome da Serafina ad Angela Maria. Testimonianze coeve di consorelle, vescovo, sacerdoti e nobili di Treia, attestarono che suor Angela possedeva doti non naturali, riusciva a vedere dentro le persone, operava guarigioni, cadeva in estasi e, soprattutto, profetizzava senza commettere errori, cioè quello che prevedeva poi regolarmente accadeva. A 30 anni le comparvero le stimmate alle mani e ai piedi. I suoi comportamenti erano sempre all’insegna della modestia, della bontà e della comprensione ed era sempre attenta all’assistenza dei bisognosi che riceveva in monastero e che poi in qualche modo aiutava. Nella sua vita di religiosa si distinse per una spiritualità intensa e sincera, un collegamento col divino che faceva del proprio corpo un impedimento per il raggiungimento della vera felicità.

A Treia e nelle Marche si sparse rapidamente la sua fama di guaritrice e di profetessa e la popolazione continuò ad invocarla e pregarla anche dopo la sua morte che avvenne nel 1804, avendo contratto il tifo. Aveva predetto la sua morte indovinando il giorno e anche la imminente soppressione del monastero di Treia in cui era vissuta. Fu sepolta nel cimitero del monastero, ma su pressione della popolazione e delle autorità locali il vescovo Angelico Benincasa ordinò di trasferire i resti all’interno di un simulacro posto nella chiesa del monastero, in modo da poter essere meglio venerata e pregata.

Abbiamo incontrato tre belle figure le cui origini provenivano da famiglie nobili e ricche. Il personaggio di cui ora brevemente vi parlo è invece una contadinella, figlia di poveri contadini, nata, vissuta e morta nella nostra frazione di Santa Maria in Selva. Si tratta dell’estatica e mistica Giuditta Montecchiari, nata nel 1855 e morta nel 1916. Di lei dirò davvero pochissimo perché, dopo tanti anni di silenzio, negli ultimi 15 anni è stata ricordata con eventi culturali, manifestazioni religiose, conferenze e libri scritti da me. Dunque di lei recentemente si è parlato molto e per chi non ha notizie sarà semplice trovare documentazione.

Poche parole su di lei per dire che ebbe il privilegio di vivere una vita all’insegna di fatti straordinari per i quali morì in concetto di santità. Dedicò tutta la vita alla preghiera e alla sofferenza per la remissione dei peccati dell’umanità. Ebbe dal cielo dei privilegi particolari, per 15 anni osservò un perfetto digiuno senza toccare né cibo né acqua e ogni venerdì patì sul suo corpo tutte le fasi della Passione di Gesù con estremo dolore e con manifestazioni visibili come le stimmate alle mani, ai piedi, al torace e alla fronte. Il sangue uscito dalle stimmate venne raccolto in bende oggi conservate in gran numero presso la Curia di Treia. In alcune di esse si possono ancora osservare i simboli della Passione formati da disegni di sangue, le cosiddette emografie. Anche lei, attaccata dal diavolo, si difendeva pregando e mortificando il proprio corpo accettando atroci sofferenze. Era in collegamento spirituale con altre mistiche, per le quali, pur essendo analfabeta dettava lettere dai contenuti straordinariamente profondi. Aveva il dono della levitazione quando pregava ed entrava in estasi e anche quello della bilocazione, cioè veniva vista contemporaneamente in più posti. Sono molte le testimonianze che riferiscono di scampati pericoli e di inspiegabili guarigioni avvenute per sua intercessione. Dopo la sua morte si tentò di avviare un processo informativo di beatificazione che però si interruppe per motivi estranei alla sua santità. Qualche anno fa i suoi resti sono stati traslati dal vecchio loculo e collocati in un bel monumento tomba posto lungo il viale principale del cimitero di Treia.

Ho selezionato queste quattro figure treiesi perché la loro vita mi è sembrata tutta dedita alla spiritualità, intravedendo in esse tratti simili riscontrabili nell’indifferenza per le cose materiali, per il proprio corpo e la propria persona e, per contro, la grande attenzione per la ricerca continua di una ricchezza spirituale come unica possibilità per la vera felicità.

Alberto Meriggi

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Treia.  Alberto Meriggi (a sinistra) con Paolo D’Arpini (a destra) – Foto di Simonetta Borgiani

Programma  della giornata del 27 aprile 2019:

Ore 10 – Appuntamento presso la sede Auser Treia per una visita guidata al Centro Storico

Ore 13.30 – Picnic vegetariano auto-gestito nel giardino del Circolo (in Vicolo Sacchette)

Ore 16 – Tavola rotonda su Religione e Spiritualità Laica. Introduce il prof. Alberto Meriggi con un “Excursus sulla presenza di fedi e di santi a Treia”. Presentazione del libro “Ramana Maharshi: meditazione olistica” (edizioni Om) a cura del traduttore Giuseppe Moscatello. Interventi dei convenuti a cerchio e recita di poesie spirituali

Ore 21 – Nella Sala di Meditazione del Circolo (ingresso da via Mazzini 27) bhajan con accompagnamento di strumenti musicali indiani a cura del solista Upahar Anand

Volantino dell’intera manifestazione  che si tiene a Treia dal 25 al 28 aprile 2019:

Articolo in sintonia: http://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2012/04/spiritualita-laica-nella-quotidianita-e.html

Un pensiero su ““Excursus sulla presenza di fedi e di santi a Treia”. Introduzione del prof Alberto Meriggi alla Tavola rotonda su “Religione e Spiritualità laica” che si tiene a Treia il 27 aprile 2019, nell’ambito della Festa dei Precursori

  1. “Il prof. Alberto Meriggi è stato ed è un vero “precursore” su molti temi culturali che sono stati portati avanti a Treia negli anni. La sua presenza costante alle nostre manifestazioni ci onora e ci offre ogni volta l’occasione di poter conoscere meglio la realtà bioregionale in cui viviamo, sia in termini di comunità che di luogo. Grazie Alberto Meriggi di esserci!” (P.D’A.)

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