Carrube, roba da cavalli? No, cibo per buongustai…

L’amico vegetariano Michele Meomartino, presidente di Olis di Montesilvano, che spesso partecipa alle nostre iniziative e che sarà con noi a Treia anche il 24 e 25 aprile 2023, in occasione della Festa dei Precursori (vedasi il programma di massima qui: https://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2023/02/treia-24-e-25-aprile-2023-introduzione.html) scrive una sua memoria sulle carrube, un frutto di foresta veramente eccezionale, che una volta trovavo sulle bancarelle delle fiere paesane, purtroppo nel tempo è scomparso ma leggo che a Montesivano ancora esiste! Gli chiederò di portarmene un sacchetto…!

*

C’è un piccolo negozio a Montesilvano, la città dove vivo, che sopravvive allo strapotere dei Supermercati in cui si vendono generi alimentari, anche sfusi, e cibo e accessori per gli animali domestici. Mi reco spesso a comprare qualcosa e quasi sempre, insieme al cibo per il mio gatto Ciro, compro le carrube di cui sono ghiotto. Pare che sia l’unico negozio della zona a vendere questo frutto. Le carrube, le “sciuscell” come le chiamano in Abruzzo, mi ricordano la mia infanzia, quando mi recavo con mio nonno Michele in pellegrinaggio nei luoghi sacri del Gargano, in particolare a Monte S. Angelo in occasione della festa dell’Arcangelo Michele che si celebra il 29 Settembre. Quel giorno era tutto un via vai di persone intorno alla basilica in attesa dell’uscita della statua dell’Arcangelo che veniva portata in processione per le strade del paese. Donne vestite di nero con il velo davanti agli occhi, semplici pellegrini che compivano l’ultimo tragitto, spesso, in ginocchio o scalzi, in segno di estrema devozione, mendicanti, questuanti, infermi, zingare che leggevano le mani, comitive di pellegrini guidati da religiosi, tanti bambini, venditori di santini e tanta, varia e colorita umanità si aggirava per le viuzze che conducevano alla basilica. Mentre gli adulti erano intenti a seguire il programma religioso, noi bambini ci aggiravamo tra le bancarelle per ammirare i variopinti colori delle mercanzie e dei souvenir. Ricordo l’odore dolciastro dello zucchero filato e del torrone, delle nocelle e dei lupini salati, delle fave secche e dei ceci abbrustoliti, ma noi erano attratti soprattutto dai giocattoli. Ma c’è un’immagine che conservo nello scrigno dei ricordi con più nitidezza rispetto alle altre ed è quella di un venditore di carrube che non aveva come gli altri la bancarella. Stava semi nascosto sotto un arco, forse per ripararsi dal vento, o forse per non dar fastidio agli altri. Era un uomo barbuto, aveva le mani rugose, forse sarà stato un contadino! Per poche lire vendeva le sue carrube che conservava in un sacco. Mi avvicinai a lui, mi guardò e disse: “Ne vuoi una?”. Risposi di si e mi regalò un baccello. Quel gesto mi rese felice come una Pasqua! Basta poco per rendere felice un bambino. Ma poi ci pensò il nonno ad acquistare le altre. Mi piaceva conservare i suoi semi duri, marroni, lucenti, tutti uguali. Poi, tanti anni dopo, venni a sapere la storia di quei semi. C’è stato un tempo, per diversi secoli, che venivano usati per pesare l’oro. Infatti, il carato, il seme della carruba, è anche l’unità di misura dell’oro. Ma quanto vorrei ritornare in Sicilia in quella gelateria di Catania dove alcuni anni fa mangiai un gelato alla carruba superlativo!

Michele Meomartino

Lascia un commento