Carenze alimentari, la dieta vegana ed il “problema” della B12….

E’ di questi giorni la notizia di un bambino di un anno, figlio di genitori vegan, ricoverato in ospedale per una grave forma di mal nutrizione. Ora i genitori sono indagati per maltrattamento. Naturalmente i detrattori ne approfittano per screditare il valore della dieta vegan evidenziando i probabili rischi correlati soprattutto a carenze di vitamina B12: un albero che cade fa più rumore di un’intera foresta che cresce.

La scelta vegan è per gente avveduta, informata e responsabile, consapevole che qualunque imperfezione sul lato fisico mette in cattiva luce la nostra causa. L’alimentazione vegan è la sola confacente all’essere umano, progettato dalla natura a nutrirsi di vegetali, ma richiede conoscenza dei principi nutritivi di cui ha bisogno il nostro organismo. Purtroppo succede che anche chi si nutre di sole patate è considerato vegan.

Probabilmente le generazioni che ci hanno preceduti non avevano questo problema perché consumavano gli alimenti vegetali al loro stato naturale: l’eccessiva igiene attuale uccide i batteri, fonte primaria di tale vitamina.

La carenza di B12 si può manifestare dopo molti mesi o molti anni, a seguito di una rigorosa alimentazione protratta per un tempo più o meno variabile, a seconda delle condizioni fisiche del soggetto. Molto dipende anche dal cosiddetto fattore intrinseco (che varia a seconda delle condizioni intestinali di ognuno) che favorisce l’assorbimento del ferro e ella vitamina B12 dal cibo. I fattori che possono provocare carenza di questo fattore sono l’alcolismo, gastriti e, in generale, danni alla mucosa gastrica.

A parte che tra i mangiatori di carnami si registra una più alta percentuale di carenza di B12 che tra gli stessi vegani, le possibilità di accusare tale carenza, per chi conduce una vita conforme alle regole igieniste, sono molto remote; ma ritengo sia  meglio incorrere a tale carenza, e correggerla subito, che avere buone probabilità di morire  di un infarto, di cancro o di ictus.

Inoltre, è da considerare che in Italia ogni anno muoiono circa 2300 bambini nati da genitori onnivori. La stessa percentuale dovrebbe verificarsi al 10% della popolazione vegetariana, cioè 230 bambini e al 10% della massa di vegetariani che sono vegani: cioè 23 bambini nati da genitori vegan dovrebbero subire la stessa sorte. Se questo non si verifica, come in effetti non si verifica, allora vuol dire che la scelta vegan è ampiamente e scientificamente, statisticamente più salutare.

Alcuni autori della scienza vegan affermano che non sia necessario ricorrere ad integratori perché nel gruppo delle vitamine B è presente quel quantitativo necessario a non accusare carenze. Ma le donne vegan in stato di gravidanza hanno la responsabilità di verificare i livelli di omocisteina, acido folico e B12. E nel dubbio è meglio assumere un integratore piuttosto che correre il rischio, che potrebbe mettere in pericolo la salute del bambino e  in cattiva luce la vitale e benefica scienza vegan. A tal proposito utile potrebbe essere la Phoenix Long Life B12 2000 mcg, pastiglie sublinguali, particolarmente adatte nei casi di carenza, che  contiene una forma biologicamente attiva di B12 (la cianocobalamina).

Insomma, ritengo estremamente più saggio, utile e vantaggioso prendere una pasticchina settimanale o mensile (che si scioglie immediatamente in bocca e che tra l’altro è di derivazione vegetale) che consumare prodotti animali nel tentativo di assicurarsi l’evanescente B12 e subire gli inevitabili effetti collaterali sulla salute, sull’economia, sull’ambiente e soprattutto sulla coscienza.

Franco Libero Manco

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