Il biologico secondo la UE

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La produzione biologica non è più un settore di nicchia nell’agroalimentare europeo: si tratta in effetti di uno degli ambiti più dinamici e la superficie utilizzata per l’agricoltura biologica cresce al ritmo di circa 400 000 ettari all’anno. Il mercato dei prodotti biologici dell’UE si aggira sui 27 miliardi di euro, circa il 125% in più di dieci anni fa. (Fonte: sito ufficiale della Commissione Europea).

L’Italia è prima tra i 28 Paesi dell’Ue per produzione e seconda per superficie coltivata: 1,8 milioni di ettari e 72.154 operatori. La crescita della domanda di prodotti biologici, incoraggia l’aumento delle produzioni.

Alcuni dati sulla produzione nostrana:

Tra le colture con maggiore incremento troviamo ortaggi (+48,9%), cereali (+32,6%), vite (+23,8%) e olivo (+23,7%) mentre a livello territoriale la maggiore estensione delle superfici è registrata in Sicilia con 363.639 ettari, cui seguono la Puglia con 255.831 ettari e la Calabria con 204.428 ettari. Il fatturato realizzato dal settore al consumo supera i 2,5 miliardi di euro e tra i canali di acquisto, oltre alla gdo e negozi specializzati, si assiste alla tendenza di acquistare direttamente dai produttori all’interno di farmers market (dati Coldiretti).

Il provvedimento sul biologico non inficia la produzione in termini di quantità: ciò che si reputa possa risultare minato, è il concetto di qualità. La norma infatti, depotenzia alcuni aspetti che proprio perchè restrittivi, garantivano standard elevati. Nonostante sia stata bocciata dagli europarlamentari italiani che chiedevano norme più rigide in tema di contaminazioni accidentali, la legge disciplinerà produzione e commercializzazione di prodotti biologici a partire dal 2021.

Ecco i punti salienti della riforma:

  • controlli antifrode saranno effettuati annualmente in sede per tutti gli operatori della filiera o ogni due anni se nessuna irregolarità verrà riscontrata nel corso dei tre anni precedenti.
  • Le aziende agricole che producono sia prodotti convenzionali che biologici continueranno ad essere autorizzate a condizione che le due attività agricole siano ben separate. In merito alle sementi convenzionali, sarà creato un database per facilitare la produzione e la vendita di quelle bio. Le deroghe che permettono l’utilizzo di semi convenzionali nella produzione biologica, saranno eliminate entro il 2035.
  • Certificazioni di gruppo permetteranno ai piccoli coltivatori che operano del biologico, di aggregarsi riducendo costi e tempistiche.
  • Tutti i prodotti importati da paesi extra Ue dovranno rispettare standard uguali a quelli europei: le attuali norme in materia di “equivalenza”, che impongono ai paesi terzi di conformarsi a norme simili ma non identiche, saranno eliminate entro cinque anni dall’entrata in vigore. Sono fuori dall’obbligo gli accordi commerciali bilaterali.
  • I prodotti che accidentalmente vengono contaminati da pesticidi non autorizzati nel settore biologico, potranno continuare ad avere la certificazione a patto che siano state adottate tutte le misure precauzionali previste (il controllo delle misure viene implementato dalle autorità nazionali). I paesi che, come l’Italia, applicano soglie massime per le sostanze (come pesticidi) non autorizzate nei cibi biologici, potranno proseguire su questa linea attraverso un meccanismo di decertificazione automatico ma non potranno impedire la commercializzazione nel proprio mercato di prodotti di altri Paesi europei che si comportano diversamente.

Quest’ultimo punto in particolare ha generato le maggiori perplessità e critiche.

Il vicepresidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo, Paolo De Castro, ha dichiarato “l’esito dei negoziati è un’occasione persa. Il punto cruciale negativo è aver eliminato completamente le soglie per i residui di fitofarmaci. Che differenza c’è allora con l’agricoltura convenzionale? L’accordo finale rappresenta un compromesso al ribasso”.

Il rischio è che, applicando norme meno restrittive per ciò che concerne i residui di fitofarmaci, si provochi un duplice danno: al consumatore in primis venendo a mancare la necessaria trasparenza e al settore bio italiano che ha standard molto elevati.

Per la Cia (Confederazione italiana agricoltori) le nuove regole europee “non sono assolutamente in linea con i livelli e gli standard di qualità che sono applicati da anni in Italia; non apportano alcun miglioramento per i consumatori nel momento in cui non intervengono sulle regole che riguardano la contaminazione dei prodotti, eliminando dai negoziati la questione delle soglie per i residui di fitofarmaci.” Coldiretti annuncia: “si tratta di un via libera della Ue al biologico contaminato”. Anche il presidente di FederBio Paolo Carnemolla, conferma un giudizio negativo sulla norma.

“Un provvedimento” commenta l’Organizzazione degli imprenditori agricoli Confagricoltura, “che annacqua la qualità della produzione agricola biologica italiana ed europea e che mette di fatto i produttori agricoli nella condizione di dover applicare i disciplinari privati della distribuzione e della trasformazione, oltre che le disposizioni del regolamento”. In questo quadro infatti, molti operatori del settore sono concordi su un punto: per difendere i primati della produzione Made in Italy, risulta necessario creare un marchio nazionale per le produzioni biologiche italianeconsentendo scelte di acquisto più consapevoli.

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